Spezzino Vero, Storie Spezzine
Qualsiasi foresto (così viene chiamato in dialetto chiunque arrivi da fuori provincia della Spezia) che si trovi a parlare con uno spezzino incapperà prima o poi in un momento inevitabile: quello in cui lo spezzino sciorinerà con la massima sicurezza qualche termine per l’altro incomprensibile. Nella conversazione ci sarà un attimo di silenzio, poi il foresto chiederà spiegazioni riguardo la parola e lo spezzino dirà: “Perché non si dice così?”.
Se si può comprendere lo spaesamento momentaneo del foresto in suolo spezzino (per altro messo già alla dura prova da comprendere abitudini strane come la focaccia nel caffelatte per colazione), si può considerare anche la questione dall’altro punto di vista e provare a immaginare quel che accade allo spezzino ogni qualvolta si trova fuori dalla provincia e magicamente – solo usando una parola – scopre che esiste un mondo al di fuori della Spezia.
Se abbiamo già visto quali sono le cose da non dire mai a uno spezzino, quelle che vediamo di seguito sono alcune delle parole con cui lo spezzino – fuori dalla sua provincia – scopre improvvisamente di essere irrimediabilmente spezzino.
Vita vissuta: gli spezzini sono un popolo di emigranti controvoglia. Per lavoro o studio, moltissimi spezzini passano almeno un periodo della propria vita lontano dalla città natale.
Solitamente, nel primo periodo della nuova vita lontano da casa si scontrano con la loro spezzinità per un fatto di detersivo.
Ci sono spezzini – alle prime esperienze di pulizia di casa – che hanno cercato la niveina per ore in un supermercato senza trovarla. Hanno dunque dovuto chiederla al personale del punto vendita: “Scusi, dove trovo la niveina?”
Sguardo sbarrato dell’inserviente. Telefonata a casa. E incredibile scoperta che la candeggina che si aveva sotto gli occhi altri non è che la niveina con altro nome.
Uno spezzino ha un’unica parola per spiegare quello spiacevole puzzo che hanno i piatti non asciugati bene dopo che sono stati lavati oppure le stoviglie non lucidate bene dopo che hanno toccato l’uovo: rinfrescume!
Nove volte su dieci, quando si nomina il rinfrescume a una persona non spezzina, quella dapprima non capisce, ma dopo la spiegazione è costretta ad ammettere: “Rende davvero l’idea!”.
Lo spezzino, a questo punto, gongola: ormai è certo di essere spezzino e che la sua lingua sia tanto accurata quanto lui non credeva che uno spezzino potesse essere.
La cucina spezzina la chiamano tutti cucina povera (anche fraintendo la definizione, perché la cucina spezzina è tutt’altra che povera di sapori), ma quasi tutti quelli che la provano l’apprezzano.
Ecco dunque che lo spezzino spesso si troverà a far dono di qualche specialità e – soprattutto quando si tratta di sughi – spesso utilizzerà per fare il regalo un’arbanela.
“Ti ho portato una bell’arbanela di…” dirà lo spezzino sorridendo, non appena incrocia l’amico foresto.
L’amico foresto sarà un po’ indeciso, per metà intimorito dalla possibilità si tratti di un salace scherzo e per metà felice di un possibile regalo.
A quel punto, lo spezzino con grande savoir faire tirerà fuori l’arbanela da un sacchetto e dirà: “Toh, eccola”.
Il sollievo del foresto sarà duplice: in primis perché si tratta di quella specialità che tanto gli piace, ma anche perché si tratta di un regalo e non di uno scherzo.
Lo spezzino capirà comunque che c’è qualcosa che non quadra e passerà tutta la serata a spiegare che quel contenitore in vetro con la chiusura ermetica a molla si chiama proprio arbanela e se nel resto del mondo non lo chiamano, beh, allora il resto del mondo si sbaglia.
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